Il Sindacato dei lavoratori della comunicazione – SLC CGIL – ha lanciato l’allarme di una possibile perdita d’occupazione per circa 40mila persone in TIM.
La posizione del sindacato è stata espressa all’Adnkronos da parte del segretario Fabrizio Solari, affermando che “Se salta il piano industriale di Tim sono anche a rischio 40mila posti di lavoro”.
Ma cosa sta succedendo al colosso delle telecomunicazioni?
L’approvazione del piano industriale
Il Consiglio di Amministrazione della TIM ha approvato il nuovo piano industriale il 23 febbraio 2021, delineando una strategia di lungo termine fino al 2023.
Il comunicato stampa presente sul sito della TIM cita testuali parole:
Il nuovo piano triennale, denominato “Beyond Connectivity”, si pone come obiettivo primario l’espansione dell’attività del Gruppo oltre la mera connettività facendo leva sulla convergenza tra le diverse aree di business, continuando a incrementare contestualmente l’efficienza del core-business tradizionale.
Continuando a scorrere nella pagina web del Gruppo, si legge che uno punti cardine è quello di chiudere una volta per tutte il digital divide – ossia il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso, in modo parziale o totale – dell’Italia e confermarci alla stregua degli altri paesi europei.
Per fare questo la TIM ha promesso di estendere la rete internet al 99% del Paese per permettere a tutti di avere accesso al web. È proprio su questo punto, apprendiamo da indiscrezioni presenti sulla stampa, che pare si stia palesando un problema per Bruxelles. Ma cosa c’entra l’Unione Europea?
Il veto di Bruxelles alla rete unica
Tutto risale all’11 novembre scorso, quando gli uffici della Concorrenza europea hanno dato il via libera per l’acquisto da parte di Cdp di un 10% in più in Open Fiber – società nata per costruire la rete a banda ultra larga – e per l’acquisizione del restante 40 per cento da parte del fondo australiano Macquarie, che subentra a Enel.
Nel dossier presentato agli uffici di Bruxelles, per avere il via libera all’operazione, erano illustrati anche alcuni specifici patti tra i due azionisti. Tra questi, era presente uno in cui Macquarie si impegnava a valutare positivamente una eventuale operazione riguardante la rete unica; quindi, a sostenerla e a finanziarla.
La Commissione su quel punto è stata netta: o eliminate quel patto o non diamo il nostro ok. Sostanzialmente l’Antitrust ha posto come condizione che si cancellasse il riferimento alla rete unica.
In primo luogo, perché questo è l’indirizzo dell’Ue. E poi perché, in caso contrario, si sarebbe aperto tutto un altro capitolo, su cui svolgere un esame ulteriore.
Questo veto potrebbe portare al blocco dell’implementazione del nuovo piano industriale, questione che preoccupa molto i sindacati per via della ricaduta sui dipendenti in termini di perdita di occupazione.
Ma cosa c’entra Open Fiber con TIM?
TIM ha detto di voler rinunciare al controllo della rete per rilanciare l’accordo con Open Fiber. L’amministratore delegato di Tim, Luigi Gubitosi, è quindi pronto a rinunciare al controllo della rete di Telecom Italia, un asset che vale miliardi di euro, per rilanciare l’accordo con Open Fiber sulla creazione di una società per la rete unica.
Dato che queste società sono controllate in gran parte da Cdp, un accordo tra di esse per creare una rete unica che controlli il mercato delle telecomunicazioni andrebbe contro i principi di libera concorrenza: ricordiamo che Cdp sta per Cassa depositi e prestiti – istituzione finanziaria italiana, sotto forma di società per azioni, controllata per circa l’83% da parte del Ministero dell’economia e delle finanze e per circa il 16% da diverse fondazioni bancarie.