Ancora un colpo di scena nel processo per la morte del maresciallo dei carabinieri Licia Gioia. Una foto scattata dai Ris di Messina durante il primo sopralluogo nella villetta di contrada Isola, e da sempre presente agli atti, ha infatti permesso all’accusa di aprire una crepa nella ricostruzione operata dai superperiti del gup.
Nelle loro conclusioni, veniva indicata come “prospettabile e compatibile agli elementi disponibili” la tesi del suicidio. Si sarebbe trattato, nella ricostruzione, di un colpo esploso accidentalmente: l’intento del marito, Francesco Ferrari, era quello di disarmare Licia Gioia, in preda ad una crisi nervosa che l’avrebbe portata a puntarsi l’arma alla testa. Il maresciallo morì nella notte tra il 27 e il 28 febbraio 2017.
Ma la foto analizzata in udienza con il contributo del perito medico-legale Giuseppe Bulla sarebbe in contrasto con la tesi suicidaria. Le piccole e numerose macchioline di sangue presenti sul polso del maresciallo escluderebbero infatti che fosse lei ad impugnare l’arma. Un passaggio su cui ha particolarmente insistito il pm, Gaetano Bono, insieme al legale della famiglia Gioia, Aldo Ganci.
Secondo l’accusa, qualunque movimento operato dal marito avrebbe dovuto cancellare quelle tracce invece visibili. Circa sessanta sarebbero quelle individuate nella foto. A determinarle, sarebbe stato un rush sanguigno da sparo che non sarebbe compatibile con un suicidio. Inoltre, i periti del pm hanno anche sostenuto – sulla base di analisi matematiche e di traiettoria – che il primo colpo potrebbe esser stato quello alla gamba ed il secondo alla testa. Una sequenza difforme rispetto alla ultima ricostruzione fornita dall’imputato.
Sulla scorta dei nuovi elementi, il gup ha riconvocato i super-periti con rinvio dell’udienza al 13 gennaio 2020.